Milano è una città interculturale. Per una vista panoramica su questa realtà è sufficiente entrare in una qualsiasi classe di una scuola primaria o secondaria inferiore. A corroborare questa impressione sono arrivati i nuovi dati MIUR – ISMU (2014/15), che assegnano a Milano la palma di città con il più alto numero di alunni di seconda generazione, cioè nati e cresciuti in Italia da famiglie di origine immigrata: sono oltre 21 mila, il 59% degli studenti con cittadinanza non italiana. I bambini e ragazzi con cognome straniero sono complessivamente il 19%. Garantire a ciascuno di essi l’opportunità di ricevere un’istruzione di qualità e di raggiungere il successo formativo dentro alla scuola interculturale è una delle maggiori sfide, in termini di innovazione e inclusione, che Milano ha di fronte a sé per questa nuova stagione amministrativa.
Le scuole milanesi lavorano da molti anni sulla linea di frontiera dell’educazione interculturale, eppure alla differenza corrisponde ancora disuguaglianza delle opportunità. Circa la metà dei 78 mila giovani NEET del capoluogo lombardo possiede un livello di istruzione medio-basso (diploma, licenza media o qualifiche professionali) e proviene, in prevalenza, dalle famiglie con status socio-economico e culturale più basso. Secondo un’indagine di Codici per il Comune di Milano, un bambino su dieci, quasi due per classe, è a rischio di abbandono prima del conseguimento della licenza media. Per gli studenti di origine immigrata – soprattutto se nati all’estero – il rischio di fallimento formativo precoce è di molto superiore rispetto ai compagni di banco di origine italiana. La scuola fatica a colmare le disuguaglianze di partenza, anche quando riguardano lo svantaggio linguistico-culturale. E sebbene la realtà degli studenti di cittadinanza non italiana sia al suo interno sempre più differenziata, occorre rilevare che nel nostro sistema il background migratorio implica una condizione di rischio educativo maggiore.
Una delle specificità milanesi dentro a questo contesto – rispetto ad altre città italiane – è un grado forte di concentrazione degli studenti di origine straniera in alcune scuole, dovuta a un mix di fattori, dalla segregazione residenziale/abitativa di alcune famiglie immigrate in zone depresse dal punto di vista socio-economico, alle barriere (formali e informali) di accesso ad alcuni istituti scolastici, alla presenza (o assenza) di progetti specifici nelle scuole, alla selettività più o meno marcata di alcuni indirizzi di studio. Uno dei fattori, paradossalmente, è la scelta delle famiglie italiane: secondo una ricerca del Politecnico di Milano, infatti, nel 50% dei casi i genitori scelgono scuole lontane dal luogo di residenza, con migliore reputazione, per evitare quelle con più stranieri. E’ opinione diffusa e radicata che una forte presenza di studenti stranieri comporti una minore qualità dell’istruzione, anche se le indagini sui livelli di apprendimento (ISMU e OCSE PISA) smentiscono questa visione. I fattori fondamentali sono altri, fra cui il clima scolastico, lo status socio-economico e culturale delle famiglie, la presenza di progetti specifici per l’inclusione e il successo formativo. La fuga delle famiglie italiane, però, non fa che aumentare la concentrazione di utenza problematica in una sola scuola e, quindi, il rischio socioeducativo.
Come fare allora per spezzare questo circolo vizioso? Milano fa molto ogni giorno per integrare ed educare in contesti interculturali. Il Comune gestisce direttamente alcuni importanti servizi mirati all’orientamento e all’accoglienza dei neo-arrivati, nonché al sostegno per l’apprendimento della lingua e l’inserimento scolastico. Si tratta spesso anche di azioni innovative, frutto di percorsi interessanti di ricerca-azione, che però faticano ad andare a sistema e a trovare prospettive certe per il futuro. Mancano, inoltre, prassi consolidate per valutare sulla base di dati e informazioni costanti l’andamento dei progetti e i risultati ottenuti. Una prima proposta per le politiche dei prossimi cinque anni è la valutazione puntuale di quanto già si è fatto e la programmazione in continuità delle azioni per il periodo successivo, secondo i principi dell’accountability. L’innovazione, anche in campo educativo, deve necessariamente essere inclusiva, per raggiungere i risultati sperati. Alle sperimentazioni devono far seguito politiche permanenti e di ampio respiro, non più affidate alle buone idee e al grande impegno di tanti educatori e insegnanti.
Un approccio innovativo è necessario anche per guardare alle prospettive per la scuola interculturale. Occorre al più presto uscire dall’idea che l’intercultura rappresenti a tutti i costi uno “svantaggio”. Agli occhi dei bambini e dei ragazzi milanesi, infatti, si tratta di un dato acquisito, nel quale crescono quotidianamente. Il modello educativo interculturale è quello più adatto perché consente di guardare anche alle straordinarie risorse cognitive e relazionali che entrano in gioco quando si impara e si sta insieme nella diversità. Diventa necessario valorizzare conoscenze e culture di ciascuno, a partire dal principale vettore culturale di cui disponiamo, ovvero la lingua madre. Sono ormai numerose le scuole che a Milano la utilizzano all’interno della didattica ordinaria e che hanno anche superato l’approccio dell’italiano seconda lingua (L2), in favore dell’apprendimento dell’”italiano per lo studio”. Le competenze interculturali, inoltre, non devono più essere demandate unicamente ai bambini e ragazzi di origine non italiana. Riguardano invece il bagaglio di strumenti indispensabili per cogliere le sfide del presente e orientarsi nella complessità. Un’educazione plurilingue, che renda possibile sperimentare e vivere la diversità in tutte le sue forme, sviluppando capacità critiche, interpretative, dialogiche e relazionali, è oggi una base indispensabile per sopravvivere alle forti incertezze e ai rapidi cambiamenti del mondo in cui viviamo e costituisce, come è particolarmente evidente di fronte ai drammatici eventi legati alle risposte fanatiche e violente del terrorismo, un ottimo auspicio per un futuro di convivenza pacifica nella nostra città. Sebbene in Italia siano ancora una minoranza, sono in continua crescita le scuole che organizzano viaggi- studio e scambi con studenti e classi di altri Paesi. Sono esperienze che vanno sempre più incentivate, non solo a beneficio degli studenti, ma anche a rafforzamento delle competenze interculturali dei docenti.
Occorre ripensare e re-inventare strumenti di empowerment delle comunità scolastiche. E’ noto, infatti, che per contrastare il rischio socio-educativo sia necessario ampliare le opportunità di crescere, giocare, imparare dei bambini e ragazzi, anche attraverso alleanze sul territorio tra scuola ed extrascuola. La Giunta Pisapia ha messo in campo diverse azioni negli scorsi anni, fra cui figurano i progetti per le Scuole Aperte, con attività promosse e organizzate anche nei pomeriggi e nelle festività, in collaborazione con i genitori, il terzo settore e le altre agenzie educative del territorio. Si tratta di un modello interessante e per questo andranno valutate con attenzione le sperimentazioni realizzate con le risorse del Piano Infanzia, per comprendere se e come abbiano funzionato e per sostenerne l’applicazione con continuità soprattutto nei contesti fortemente interculturali e ad alto rischio socio-educativo. Rientra nei compiti dell’Amministrazione la possibilità di programmare interventi, dentro a un sistema di incentivi, per prevenire la fuga degli italiani dalle scuole interculturali: lavorando sulla reputazione delle scuole, garantendo la presenza dei mediatori culturali, sostenendo attivamente percorsi di ampliamento dell’offerta formativa, migliorie infrastrutturali e nella didattica, promuovendo il rafforzamento delle reti sociali sul territorio e la programmazione degli interventi educativi, in raccordo con i nuovi Municipi, anche in orario extrascolastico e in estate. Alcune proposte in tal senso sono emerse dal progetto “Dire, Fare, Educare” e possono essere rintracciate nella Carta per Milano città educativa, che ne rappresenta l’approdo finale.
Milano è stata la città di frontiera rispetto alla scuola interculturale e ha prodotto grande innovazione. Ha ora un’imperdibile occasione di ripartire da quanto è stato fatto, per renderlo patrimonio comune e diffuso, dimostrando all’Italia che la sfida dell’educazione interculturale può davvero essere vinta, tenendo insieme innovazione e inclusione.