di Roberto Biorcio e Tommaso Vitale.
Un invito a prendere sul serio l’Italia civile.
La vittoria di Trump non cessa di fare riflettere e ragionare sullo stato della democrazia negli Stati Uniti. Un dato che salta evidente agli occhi è certamente quello del marcato astensionismo che caratterizza l’America. Il 46,9% degli aventi diritto non ha votato. Il problema dell’astensionismo e della mobilitazione elettorale non riguarda certo solo gli USA. La crisi della partecipazione elettorale, anche nelle elezioni comunali, non cessa di aumentare in Italia e solleva molte preoccupazioni sul rapporto fra cittadini e democrazia. E’ ormai molto tempo che i partiti non sono più capaci di offrire una socializzazione di massa alle pratiche e alle regole democratiche. In questo contesto il settore associativo costituisce una fonte di anti-corpi alla disaffezione politica, e una occasione di socializzazione ai valori e alle pratiche democratiche.
La riflessione sulla partecipazione associativa è importante e urgente, in particolare in Italia. Da un lato la partecipazione associativa costituisce il principale luogo di formazione e apprendimento all’azione collettiva anche in Italia. Dall’altro, il tema è particolarmente attuale in queste settimane in cui il Governo sta lavorando ai decretti attuativi della riforma del terzo settore (associazioni di promozione sociale e volontariato incluso), insistendo non tanto sul rapporto fra terzo settore e amministrazioni locali, o fra terzo settore e comunità locali, ma enfatizzando gli aspetti di ibridazione che possono emergere nel rapporto con le imprese for profit. Il tema è certamente importante e ruota intorno ai problemi di sostenibilità e di modello economico del terzo settore. Abbiamo esplorato l’importanza delle ibridazioni, fra advocacy e fornitura di servizi nel nostro libro recente, Italia Civile (Donzelli, 2016). Ci torneremo sopra ancora nei prossimi giorni. Vogliamo in questo post invece attirare l’attenzione sul senso e sugli effetti importanti per la democrazia della partecipazione associativa. Vogliamo proprio andare alle radici dell’analisi su cio’ che le associazioni fanno alle competenze democratiche delle e degli italiani. Lo faremo riportando i contenuti principali dell’intervento che abbiamo fatto alla III edizione del Festival delle Comunità del Cambiamento organizzato da RENA.
Il punto di partenza è un sano bagno di realismo. In Italia la partecipazione associativa non è mai stata molto forte. Non bisogna essere irenici. Già alla fine degli anni cinquanta, Almond e Verba avevano notato che rispetto ad altri Paesi europei, gli italiani erano molto lontani dal modello di cultura civica “partecipante”. Nel nostro paese la cultura prevalente risultava quella particolaristica (parochial) che univa la scarsa fiducia nei confronti del sistema politico alla sfiducia nelle proprie capacità di influenzarlo. I limiti del civismo degli italiani degli anni cinquanta erano evidenziati anche dal basso livello di partecipazione ad associazioni volontarie.
Nel nostro paese era però relativamente elevata la partecipazione alle associazioni religiose e civico-politiche, che raggiungeva livelli superiori a quelli registrati negli altri paesi europei. L’importanza di questo tipo di reti associative in Italia fu riconosciuta e valorizzata anche dalle ricerche realizzate dall’Istituto Cattaneo negli anni sessanta (Manoukian 1968). La costruzione e il radicamento sul territorio dei principali partiti di massa avevano ampiamente utilizzato le reti di associazioni già costituite, che coinvolgevano molti volontari in diversi tipi di attività spesso estranee alla sfera politica: “la tradizione socialista e quella cattolica avevano creato le premesse per una socializzazione politica di massa” (Galli 1966, 161).
Le carenze della cultura civica nazionale, e i problemi per l’impegno pubblico individuale, furono così superati, da un processo di socializzazione politica che si basava su culture politiche partigiane e sulle reti di volontariato associativo collegate – direttamente o indirettamente – ai partiti politici di massa. Non possiamo dilungarci qui, ma ci permittiamo in proposito di rimandare a questo nostro lavoro più dettagliato:
Biorcio R., Vitale T., 2017, “Scuola di democrazia. Attività volontarie e partecipazione politica », in Riccardo Guidi, Tania Cappadozzi, Ksenija Fonovic (a cura di), Il valore delle attività volontarie in Italia, il Mulino, Bologna, pp. 185-213. Questo breve post costituisce una sintesi di quel testo.
Nel corso degli anni Novanta il quadro politico e sociale che aveva cratterizzato l’Italia nel secondo dopoguerra cambiò, però, radicalmente. Il sistema dei partiti che aveva gestito la politica e la società per molti anni si sfaldò, dopo la fine della guerra fredda, per le inchieste della magistratura sugli intrecci fra politica e affari (Tangentopoli) che delegittimarono gran parte della classe politica italiana. La crisi dei partiti di massa rendeva tendenzialmente più autonome le associazioni. Diminuiva fortemente la capacità delle diverse formazioni politiche e dei loro attivisti di esercitare influenza sulle molteplici reti organizzative esistenti nella società civile. Il ruolo, la composizione, e la cultura dell’associazionismo italiano cambiavano profondamente. Si trasformavano i significati delle attività svolte e cambiavano le motivazioni per l’impegno dei volontari, nonostante ovviamente alcune inerzie e qualche nostalgia per il sistema di collateralismo tipico della Prima Repubblica, da parte delle associazioni più dipendenti dai finanziamenti pubblici e meno inclini a una proposta e a una progettualità autonoma.
Abbiamo analizzato di recente le tendenze generali della partecipazione tra il 1989 e il 2013 nel nostro volume “Italia civile. Associazionismo, partecipazione e politica” (Donzelli, Roma 2016). L’adesione alle associazioni sociali coinvolgeva più di un quinto della popolazione italiana adulta. La partecipazione cresceva nelle aree del volontariato socio-assistenziale, delle attività culturali e educative, e in quelle dell’impegno civile e sociale. Risultavano invece nettamente in calo le forme più tradizionali di partecipazione politica: le adesioni ai partiti politici si erano dimezzate nel periodo considerato. La diminuzione di questo tipo di partecipazione era confermata anche nei dati sugli iscritti dichiarati dagli stessi partiti, che hanno subito una forte diminuzione a partire dagli anni Novanta.
Sulla base di risultati della indagine Istat Avq 2013 è possibile mettere in luce il rapporto delle persone impegnate nel volontariato e nelle associazioni sociali con la politica e le diverse forme di partecipazione politica.
In generale si può osservare che l’impegno in qualche tipo di attività di volontariato al di fuori della cerchia privata personale ha una relazione significatica con l’aumento dell’interesse e della partecipazione alla politica in tutte le sue forme. Gli scarti sono quasi sempre molto forti rispetto alla media della popolazione. Possiamo d’altra parte osservare che chi partecipa ad associazioni ha in generale un livello di fiducia interpersonale superiore a quello che si rileva nel complesso della popolazione. La fiducia interpersonale è uno dei fattori che in generale favorisce l’impegno civico, e in particolare la disponibilità a dedicare attenzione e a partecipare alla vita politica locale e nazionale.
Tra i volontari è più elevata l’abitudine ad informarsi quotidianamente sugli eventi più importanti che si verificano nella sfera pubblica e la diponibilità ad assistere a dibattiti politici. Questa tendenza si conferma anche rispetto a svariate forme di partecipazione politica visibile. In generale, chi pratica qualche azione di volontariato si impegna di più, rispetto alla media dell’intera popolazione, per la partecipazione a comizi e a cortei, nella frequenza delle discussioni politiche e nello svolgimento di attività gratuite per i partiti. Se l’attività gratuita a beneficio di altre persone è svolta nell’ambito di una associazione, cresce l’impegno nelle diverse forme di partecipazione politica visibile.
La scomparsa dei partiti di massa e la diffusione nell’opinione pubblica italiana di atteggiamenti antipolitici, non ha diminuito l’interesse e l’impegno per la politica delle persone che dedicano tempo e risorse personali al volontariato o alle associazioni sociali. Questo tipo di impegno sembra collegarsi con una più generale disponibilità ad attivarsi in diverse forme di partecipazione politica, che possono avere anche un forte contenuto critico e conflittuale rispetto alle istituzioni politiche.
Analizzando i dati della rilevazione Istat Avq del 2013 possiamo ritrovare l’effetto della posizione sociale sia sulla partecipazione politica latente sia su quelle visibile: hanno particolare importanza per la crescita della partecipazione l’istruzione, il livello di reddito familiare, la condizione occupazionale e la posizione occupazionale. La partecipazione politica è poi in generale più diffusa tra i gli uomini e nelle classi medio-superiori di età (45-64 anni). Sulle probabilità di impegno nelle associazioni hanno soprattutto una notevole importanza il livello di istruzione, le risorse economiche e la posizione professionale e sociale dei cittadini. Partecipano più spesso alle associazioni sociali gli intervistati che occupano posizioni sociali più elevate (imprenditori, dirigenti e liberi professionisti) e gli studenti; si registra invece una riduzione relativa della partecipazione tra gli operai e soprattutto fra le casalinghe. Queste tendenze si rilevano anche per le azioni di volontariato svolte solo individualmente, senza relazioni con associazioni.
Si possono così rilevare importanti differenze nei livelli di partecipazione al volontariato dipendenti dal livello di centralità sociale degli intervistati. L’impegno nel volontariato sembra diventato molto più frequente nei ceti medi e superiori rispetto alle classi popolari: un cambiamento dovuto alle trasformazioni della società, ma anche alla scomparsa del ruolo dei partiti politici di massa per la socializzazione dei cittadini.
Sono invece meno rilevanti le differenze nelle diverse fasce di età: solo per le persone anziane la partecipazione si riduce in modo significativo. I giovani si impegnano di meno nelle azioni di volontariato a beneficio di altre persone, soprattutto nelle azioni solo individuali. La loro partecipazione alle associazioni sociali è invece superiore rispetto a quella che si rileva nelle altre fasce di età, e nell’intera popolazione.
In generale le donne partecipano in misura più limitata degli uomini alle associazioni sociali e alle attività di volontariato in forma associata: queste differenze però si attenuano o scompaiono se si analizzano le diverse situazioni familiari. Fra le donne nubili la partecipazione è superiore a quella degli uomini celibi. Il matrimonio e la formazione di una famiglia non cambia la disponibilità a partecipare degli uomini, mentre diminuisce nettamente quella delle donne. Sono soprattutto le casalinghe a fare diminuire in generale i livelli di partecipazione femminile alle esperienze associative. Ennesimo segnale di un brutto maschilismo che ripartisce in maniera iniqua i carichi di cura. Le donne appaiono invece in generale più disponibili degli uomini a svolgere, solo a livello individuale, attività gratuite a beneficio di altre persone
Quanto detto tuttavia non giustifica una visione negativa della partecipazione. I dati di cui disponiamo disconfermano l’idea che le diverse forme di impegno politico e sociale dipendano dalla precedente socializzazione dei cittadini, dall’acquisizione di idee e atteggiamenti importanti per motivare la partecipazione. Senza entrare nel merito dei dettagli dell’analisi statistica (che possono essere rintracciati nei nostri lavori già citati e in altri ancora), emerge chiaramente che, pur essendo molto forte ovviamente l’influenza delle condizioni sociali, l’impegno in azioni di volontariato contribuisce sempre alla crescita ulteriore della disponibilità alla partecipazione politica.
Una volta tenuti sotto controllo gli effetti di selezione dati dalla centralità sociale degli individui, si vede comunque un effetto di socializzazione politica dato dalla partecipazione sociale!
La partecipazione ad associazioni di volontariato ha un carattere non episodico, e ben più continuativo rispetto alla partecipazione a singoli eventi o episodi di mobilitazione politica. Le esperienze associative e le attività di volontariato forniscono ai partecipanti una socializzazione alla partecipazione politica che si aggiunge agli effetti delle diverse posizioni di centralità sociale. Il ruolo di queste esperienze appare più importante soprattutto per i settori sociali meno dotati di ricorse culturali ed economiche: in questi settori la partecipazione ad associazioni e l’attività di volontariato in buona parte compensano la relativa “perifericità” sociale dei ceti più modesti.
La partecipazione associativa riduce gli effetti di esclusione dalla partecipazione politica democratica strutturati dalle diseguaglianze sociali. Anche nel 2013 l’associazionismo si conferma come una vera scuola di democrazia soprattutto per le classi popolari.
Notiamo infine che la partecipazione politica e sociale è differente in relazione alla distribuzione sul territorio degli intervistati. I livelli di partecipazione politica latente e visibile possono essere notevolmente influenzati dai livelli di civismo che tradizionalmente differenzia le regioni italiane, come è stato sempre rilevato, a partire dalle ricerche di Putnam negli anni Ottanta. Tuttavia in tutte le aree regionali, l’esperienza delle attività di volontariato e della partecipazione alle associazioni sociali fa aumentare la partecipazione politica. L’influenza di questa esperienza è nettamente più rilevante nelle regioni meridionali, nelle aree territoriali in cui tradizionalmente viene segnalato un livello di civismo più limitato.
Nei territori in cui il civismo è più basso, non solo l’associazionismo gioca in sé un ruolo fondamentale nella produzione di beni pubblici, ma è anche un volano fondamentale di socializzazione ai valori e alle pratiche democratiche, ancor più che in altre parti del Bel Paese.