Ormai ci siamo. Lunedì prossimo guarderemo le vicende del dibattito politico cittadino, con i suoi rilanci nazionali, con altri occhi. Due gli auspici che mi sento di indirizzare, oggi che ancora tutto è aperto.
Spero che sapremo riconoscere di essere stati protagonisti di una bella pagina di democrazia, confronto politico e progettazione di futuro che non teme confronto. Notazione non scontata se solo si guarda ad altre città in cui il centrosinistra si appresta al voto amministrativo diviso, arrancante e per nulla certo di poter battere il centro destra o altri avversari come il M5S.
Mi piacerebbe, inoltre, che dopo i toni accessi, le proposte eclatanti, qualche colpo basso che, come nota Annibale D’Elia su questo blog, attiene più al piano della politics che delle policies, si tornasse invece a mettere in relazione le politiche pubbliche con la Politica. Considero infatti un grave errore della sinistra dei tempi nostri la tendenza a considerare le prime – le politiche – come un orpello ininfluente per la seconda. Errore speculare a quello che riproduce separatezza della sfera politica dalla sfera sociale. Ragione per cui il dibattito si scalda, e così è stato anche in queste primarie, sul tema delle alleanze politiche e mai su quello delle alleanze sociali.
Le pratiche e le politiche pubbliche, nella loro relazione con l’elaborazione di una visione di città, insieme all’interpretazione delle trasformazioni sociali, sono state, in questi anni, al centro della riflessione del laboratorio MilanoIN, innovare x includere, come sanno bene i lettori de Gli Stati Generali che di questo laboratorio hanno ospitato il blog.
Per quanto mi riguarda la bussola rimane questa: centralità delle politiche, delle pratiche e dei soggetti sociali. Con questa bussola ho formulato anche la mia scelta di voto e di schieramento nella competizione delle primarie a favore di Beppe Sala. Opzione che, in alcuni momenti, ha contribuito ad accendere i toni del dibattito soprattutto nella sinistra della coalizione.
Non certo una scelta imprevedibile considerato che, per prima a sinistra, ho pubblicamente riconosciuto la “non estraneità” della figura di Sala rispetto al percorso della giunta arancione di questi anni. Coerente per chi ha conosciuto il lavoro fatto in questi anni sul binomio innovazione/inclusione, oggi entrato nel lessico abituale di alcuni dei candidati, in primis dello stesso Sala.
A maggio dello scorso anno, inaugurando il blog MilanoIN con una riflessione su Milano come “citta che sale” inclusione allude alla Milano più vicina al miglior spirito riformatore della sua storia, che oggi è animata da una classe media non standardizzata, ma plurale e pluralista, tendenzialmente attrezzata culturalmente, che vive di redditi (a volte intermittenti) da lavoro e non di rendite (né immobiliari né finanziarie), popolata anche di milanesi non per nascita ma per scelta, che ha poco da perdere e vorrebbe liberarsi delle sue catene. “Innovatori per disperazione”, interessati a guadagnare spazio individuale e collettivo sulla scena pubblica.
Quella riflessione, così lontana nel tempo dalle primarie, si concludeva così: <<Un disegno politico che metta al centro l’innovazione capace di produrre inclusione, che guardi alle nuove configurazioni produttive e non alle rendite vecchie e nuove, che sia capace di intercettare la città che sale invece che contendere il solo consenso della città che è già salita (…) deve essere allo stesso tempo un disegno sociale e un disegno politico (…) proponendo un sistema di opportune alleanze ma rigettando la separatezza dei luoghi della decisione politica da quelli che stanno animando il risveglio civile della città. In questo consiste la continuità auspicabile con la migliore esperienza amministrativa di questi anni.>>
Con convinzione, e a prescindere da chi sarà il vincitore, ritengo che Beppe Sala sarebbe il miglior interprete di quella città che “sale”, e non per un gioco di parole.
I 5 anni di buon governo di Pisapia hanno conquistato alla sfera pubblica, dentro un progetto di centrosinistra, nuovi protagonisti, molti dei quali riconducibili all’antropologia degli “innovatori per disperazione”, ma anche nuovi cittadini, o ceti medi in crisi che, anche grazie ad Expo, si sono sentiti parte di un progetto collettivo. Non necessariamente militanti di sinistra, ma soggetti a cui la sinistra dovrebbe parlare. Tutte persone per cui l’ascensore sociale, come direbbe Sala, si è fermato qualche decennio fa con la crisi del fordismo. La candidatura di Sala parla a questi ceti e la sinistra dovrebbe festeggiare di poter coinvolgere proprio quella parte di società che, spesso solo a parole, dice di voler rappresentare. Come se contasse di più usare gli stilemi e le formule della sinistra piuttosto che porre questioni di sinistra. Certo, i più esigenti di noi userebbero espressioni come mobilità sociale o lotta alle disuguaglianze invece che ascensore sociale. Ma dietro alle formule rischiamo di perdere il movente.
Sarò sempre nemica della coazione a ripetere che preferisce i pochi ma buoni ai molti eterogenei. Non dovrebbe essere un problema, ma una vittoria, se dopo 5 anni di governo a decidere il futuro sindaco della città non saranno gli stessi, nei numeri e nei profili, che hanno dato vita alla bella stagione arancione. Se così fosse significherebbe che l’allargamento ai nuovi, la partecipazione, il protagonismo, sono rimasti a metà. E qui non si parla di alleanze politiche o di fantomatici “allargamenti al centro”, ma di alleanze sociali e della conquista in un progetto progressista di nuovi pezzi di città.
Se il tema non sarà tenere insieme più società di quella che ha consentito la doppia vittoria di Giuliano Pisapia nel 2011, allora la condivisibile preoccupazione di tenere insieme le sigle politiche sarà valsa a poco. Non si tratta né di indicare chi più ci assomigli, né di scegliere un capo politico. In entrambi i casi la mia opzione sarebbe probabilmente differente. Si tratta di indicare l’interprete migliore a spingere in avanti non solo la città nel suo complesso, ma quella parte di comunità portatrice di una spinta progressiva, e non appagata.
Per non fare come l’ubriaco che cerca le chiavi sotto il cono d’ombra del lampione, perché lì arriva il suo sguardo, la sinistra dovrebbe smettere di cercare il suo popolo solo dove si sente rassicurata. Ho sentito qualcuno, dal pedegree decisamente di sinistra, asserire – riferendosi a Sala – che non basta aver comandato per sei mesi un baraccone nazional-popolare per fare il Sindaco. Mi ha colpito perché la nota di sufficienza non era né sul baraccone, né sulla pretesa di fare il Sindaco, ma sul nazional-popolare.
Sono sinceramente convinta che il risultato di queste primarie non sia scontato. Ma, ai fini della mia riflessione, poco importa l’esito. Ciò che vorrei è che l’8 febbraio sia una bella giornata di sole, assai lontana dalla notte dell’ubriaco sotto il lampione, e che la ricerca della strada da percorrere avvenisse in campo aperto.
A partire dalle pratiche, dalle politiche, e dall’indagine sociale. MilanoIN è e sarà a disposizione per questo.